Biellettrico – Il Biellese elettrico 1882-1962: dalla prima scintilla all’ENEL
- L’Elettrotecnica Vallestrona: l’elettricità biellese compie 100 anni
- Biellettrico – Il Biellese elettrico 1882-1962: dalla prima scintilla all’ENEL
- Una biblioteca “illuminata”: excursus fra periodici e monografie a tema elettrico della Biblioteca Civica di Biella
- E adesso, la pubblicità… La réclame elettrica al Lanificio Vercellone
- Gli impianti Oerlikon in Valle Sessera
- A Sordevolo i cataloghi della Società Telefonica Lombarda
- Problemi telefonici a Sordevolo
- La “Lumière Électrique” dei Vercellone di Sordevolo
- L’elettricità nell’associazionismo operaio e divulgazione scientifica
- Le applicazioni Tecnomasio si diffondono nel Biellese
- Forza motrice e illuminazione per la funicolare del Piazzo
- Luce a gas o luce elettrica?
- Il Sindacato degli elettrici
- Una centrale idroelettrica all’Alpe Prato per il Lanificio Rivetti
- Le Società Operaie biellesi all’Esposizione di Torino del 1884: il trionfo dell’elettricità
- Al Rotary si parla di illuminazione elettrica
- La tramvia elettrica Biella – Oropa nelle immagini di Franco Bogge
- Corso IRPAIES alla Fabbrica della Ruota
- Biellettrico: l’atmosfera si fa elettrica all’alba del Fascismo
- “Biellettrico”, l’elettrificazione del Biellese in mostra alla Fabbrica della Ruota
- Biellettrico: nuove scoperte sull’elettricità nel Biellese
Biellettrico: l’atmosfera si fa elettrica all’alba del Fascismo
[da “Eco di Biella” del 25 settembre 2023, testo di Danilo Craveia]
Gli elettricisti erano una categoria abbastanza sicura in senso occupazionale anche in tempi duri, come quelli degli albori del Fascismo. I giornali pubblicavano le cifre della disoccupazione. I socialisti del “Corriere Biellese” per dire quanto fossero preoccupanti, i fascisti de “Il Popolo Biellese” per dire quanto fossero rassicuranti. C’erano categorie in difficoltà, senza dubbio, e il colore politico della testata non cambiava le cose, ma gli “elettrici” senza lavoro, tutto sommato, erano pochi. Vero è che gli elettricisti erano pochi in generale e anche soltanto cinque di loro a casa erano una quota significativa, ma il rapporto restava positivo. A marzo del 1923 i disoccupati biellesi erano 503: quelli dell’industria tessile erano 211, mentre gli “elettrici” erano 3. A luglio erano 198 in totale, di cui un elettricista. Numeri (forniti dall’Ufficio Circondariale di Collocamento) che dicono tutto e niente, ma tant’è. Un ulteriore dato, valido almeno fino al 1926 (il corporativismo fascista entrò in vigore nella primavera del 1927): la Società Umanitaria (poi Patronato Nazionale) fungeva di ufficio di collocamento e nella sezione “cercansi” ci sono sempre gli elettricisti, mentre in quella “offronsi” non compaiono mai.
Riecco gli elettricisti biellesi appena dopo il “Bienno rosso” e con il Fascismo alle porte. Durante lo sciopero della Pettinatura di Vigliano del settembre 1921, i compagni Marino Biasetti, Claudio Dotto, Giuseppe Ramella, Michele Sachet e Pietro Scarlatta, tutti operai elettricisti, furono arrestati per essersi rifiutati di riprendere il lavoro. Un episodio come tanti in quel momento storico in cui, anche nel Biellese, era in atto la “offensiva padronale” e la “resistenza operaia” per la tutela dei diritti e dei salari. Certo, gli elettricisti costituivano già una categoria sui generis, soprattutto quelli addetti agli impianti di produzione idroelettrica delle aziende che distribuivano l’elettricità al pubblico. Di fatto si trattava di “guardie” addette a un servizio essenziale e il loro compito non era paragonabile a quello di un qualsiasi tessitore o tornitore.
Nell’estate del 1922, con il Fascismo già forte e in attesa di prendere il potere, si registrò un ulteriore sciopero generale. Il 5 agosto usciva il primo numero de “Il Popolo Biellese”, organo del PNF locale. Naturalmente la redazione dedicò buona parte della prima pagina al “fiasco” della manifestazione sindacale “rossa” e, oltre a salutare i suoi nuovi lettori, si premurò di evocare una necessaria e salutare “mobilitazione civile” (leggi rivoluzione fascista). I fascisti, anche nel Biellese, avrebbero difeso con ordine e rigore la struttura dello Stato dai bolscevichi sostituendosi alle forze politiche, ma anche alle funzioni amministrative e tecniche fino a quel momento in mano ai corrotti e agli incapaci. In tutto quel caos, va da sé, c’erano anche gli elettricisti. La rivoluzione fascista, attuata contro quella comunista delle occupazioni e degli scioperi, avrebbe permesso al paese di continuare a vivere. “Ferrovie, poste, telegrafi, telefoni, servizi per l’energia elettrica, per l’acqua potabile, per il gas, debbono poter funzionare in caso di sciopero”. Circolavano notizie (più o meno confermate) di “sabotaggi”, ovvero “sassate furono lanciate anche contro i treni specialmente nelle vallate; pali delle condutture elettriche sono stati abbattuti; fili telefonici sono stati rotti”. Non solo: “Alle dieci del 1° agosto veniva data la notizia che gli operai elettricisti delle centrali di Biella, di Carema, di Quincinetto e di Bard, nonché tutti quelli addetti alle cabine elettriche avevano abbandonato il lavoro”. Elettricisti “rossi” o solo desiderosi di sottrarsi ai tumulti? Di sicuro la FIDAE ne associava non pochi, forse quasi la totalità, ma con l’avvento del Fascismo le cose dovevano essere in via di mutazione. Vista dal PNF la situazione era chiara e bisognava intervenire. “Il Comitato d’azione fascista, radunate in breve tempo tre squadre di specialisti, in gran parte licenziati di scuole di meccanica e di elettrotecnica, le inviava a tutte le centrali abbandonate dagli operai, le quali alle quattro del pomeriggio venivano rimesse in efficienza completa”. Quei “licenziati” erano ragazzi appena diplomati dell’ITI? “Specialisti” sembra una parola grossa e varrebbe la pena di scoprire quale sia stato il ruolo effettivamente giocato da quelle tre squadre. In ogni caso, il PNF aveva de facto già assunto i pieni poteri e aveva avocato a sé l’autorità di gestire, in regime di emergenza, la produzione elettrica. I giornalisti de “Il Popolo Biellese” sottolinearono che “le popolazioni dei ridenti paesi valdostani hanno guardato con simpatia imbandierarsi le torrette delle centrali elettriche, che continuavano a mandare alle città ed agli opifici lontani, la forza e la luce, per l’opera di quei pochi uomini di fegato e di cervello sano. Contemporaneamente altri nuclei di fascisti venivano inviati a presidiare le cabine, e numerose squadre a perlustrare le strade, ed a protezione delle linee”. E mentre in Valle d’Aosta l’occupazione delle centrali era stata, ci mancherebbe, una festa patriottica, nel Biellese i “pussisti” prendevano di mira la rete elettrica per quanto sotto controllo (almeno sulla carta) dei “vigilantes” fascisti. “La notte sul 2 corr. in Valle Ponzone vi furono tentativi di abbattimento di pali dell’energia elettrica; altrettanto venne tentato contro pali telegrafici nella Valle Strona. Sempre la stessa notte si ebbe uno scoppio di gelatina nelle vicinanze dello Stabilimento Segre di Lessona. Altri attentati, fortunatamente andati a vuoto, vennero fatti contro le ferrovie economiche [leggi elettriche, n.d.a.]. Nella notte sul 3 corr. dopo di aver perforato un palo di sostegno dell’energia elettrica ad alta tensione, presso lo Stabilimento Cartotto Lodovico nella frazione Volpe di Cossato, nel foro venne introdotto del fulmicotone, e se non si ebbe lo scoppio fu perchè i delinquenti mancavano del detonante, in modo che invece della esplosione, l’esplosivo bruciò. La linea incrociava in quel punto con altra ad alta tensione”. Due persone arrestate.
Malgrado queste contingenze, con un clima rovente e il rischio concreto di una guerra civile, si arrivò al 28 ottobre 1922 senza gravi recrudescenze. Gli elettricisti biellesi non ebbero conseguenze dirette immediate dalla “marcia su Roma”. Anzi, il “nemico” rimaneva la classe padronale delle aziende elettriche, e non i fascisti. Il che va letto alla luce dell’assalto che i fascisti avevano compiuto il 1° novembre 1922 contro la Casa del Popolo, ovvero contro la Camera del Lavoro di via Mazzini. Tenuto conto di tale fatto, ossia fattaccio, assume una certa valenza la prosecuzione dell’attività della sezione di Biella della FIDAE. Infatti, i soci riuniti alla Camera del Lavoro il 30 novembre 1922 votarono all’unanimità un ordine del giorno fortemente sindacale e, se si vuole, “antifascista”. Sul “Corriere Biellese” del 5 dicembre, in effetti, si legge che l’assemblea generale degli elettricisti biellesi “riconferma entusiasticamente la adesione alla Federazione Italiana Dipendenti Aziende Elettriche ed alla locale Camera del Lavoro. L’assemblea si è chiusa con una sottoscrizione aperta fra tutti i presenti a favore dell’Avanti! perchè possa continuare a portare la sua parola di fede in mezzo alla massa lavoratrice”. La dimensione di tale entusiastica adesione fu ridicolizzata da “Il Popolo Biellese” del 9 dicembre. Gli elettricisti presenti all’assemblea generale erano stati soltanto sette. L’intimidazione fascista dava i suoi pessimi frutti riducendo gli “elettrici” socialisti a poca cosa. Il Fascismo annichilì e riformò alla sua maniera il sistema sindacale, incluso quello del settore elettrico. D’altro canto, a Mussolini piacevano gli elettricisti. In un’aula dell’ITI campeggiava una delle sue frasi. Non delle più celebri, ma comunque significativa: “Direi che le mie preferenze vanno a quelli che studiano, creano, controllano l’energia elettrica”. Così gli studenti imparavano ispirati… La dissolta FIDAE biellese fu ricostituita il 3 novembre 1945. Il redivivo “Corriere Biellese” ne diede orgogliosamente notizia. “Il comitato di iniziativa del sindacato stesso venne composto dai seguenti compagni: Zino Licurgo, Mezzalama Ugo, Verzoletto Michele, Molinaio Mario, Broletto Arduino, Deregibus Carlo, Vallivero, Ramella Pierino. A segretario venne nominalo Mezzalama Ugo”.